Questioni di etic(hett)a

Etica. Il cuore pulsante dell’archivistica. Il motore immobile della memoria. Lo specchio del futuro. Rombo di tuono, potenza del perché. Anima di un dovere perduto e cuore di un impegno ritrovato. Cucitrice paziente di trame civili e cavallo imbizzarrito nelle praterie della responsabilità. Di cuore e di sangue, passioni e scienza leggera. Estratto di un sogno, coraggio dell’essere, volontà di un altro sguardo sul mondo.

Ma a cosa si applica questa  coraggiosa volontà di sognare che porta l’archivistica in giro per le teste pensanti? Dove si dispiega la potenza della volontà, della responsabilità, della curiosità?

O meglio, dove inizia questa avventura etica che è l’archivio?

E’ forse opportuno allora riflettere prima di tutto sull’archivio.

L’archivio all’inizio delle cose. L’archivio strumento ed esercizio del potere. Luogo dove la storia, la natura e la legge si intercettano. L’archivio quindi espressione di vita, di realtà ma anche di controllo dell’immaginazione.

Il luogo, l’archivio, dove l’ordine è dato o interpretato e riconferito. Il locus credibilis intorno a cui ruotano, per quanto segmentate esse siano, la società organizzate.

La responsabilità dell’archivio e cioè dell’archivista si confronta con il bisogno etico dell’ordine. Un ordine che ancor prima che espressione di tecnicismi inevitabili è organizzazione etica dell’informazione, correttezza possibile, in poche parole cultura della gestione documentale.

Ecco nella cultura della gestione documentale si incarna l’etica dell’archivio. Non venerazione del tempo ma interpretazione del presente. Dei presenti possibili. Etica di una vita sociale scandita dalla certificazione efficiente e consapevole del diritto di cui i documenti sono tedofori privilegiati.

L’archivio in quanto locus credibilis è figlio di presenti etici, governati dal bisogno di trasparenza come molla di dinamiche sociali virtuose.

E’ virtù allora la gestione documentale, contro il vizio di una opacità che spegne la progettualità e destruttura il futuro.

La cultura del presente, non del presentismo, accompagna una dimensione archivistica pienamente realizzata nel suo ruolo di potente supporto al governo dell’informazione.

Informazione che dal punto di vista archivistico non è mai una associazione di monadi ma, piuttosto, un sistema di relazioni che si definiscono dinamicamente, che creano reti di oggetti fluidi ma collegati secondo logiche talvolta imperscrutabili più spesso figlie di illusioni tassonomiche.

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descrivere la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato […]

Gli archivi accadono. Continuamente. Non si esaurisce mai la spinta propulsiva che ne agita e trasfigura i contenuti informativi.

L’etica archivistica, fatta di ragione, rigore, tecnica, passione, immaginazione, sgorga e si manifesta dentro universi liquidi, dagli assiomi mutevoli, mai definiti in se stessi.

Non conosce quiete questo approccio etico, perché quiete non conosce l’archivio. Definire il presente, cercare di ingabbiarne la mutevole fuggevolezza è impresa quotidiana e titanica.

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