ARCHIVI E POLITICA
Anticipo una sintesi di un articolo di prossima pubblicazione, come contributo alla riflessione u un tema che reputo di vitale importanza
In conclusione possiamo dire senza dubbio, come abbiamo anticipato in apertura, che parlare di archivi e politica significa evocare una serie di scenariaffatto diversi. Si parte dal rapporto intrinseco tra complessi documentari ed esercizio del potere. Un rapporto consolidato nei secoli nella sua quasi mitologica sacralità e poi venuto adattandosi a nuovi modelli di organizzazione della società e a nuove forme di produzione e sedimentazione degli archivi stessi, L’archivio “cominciamento e comando” accompagna il potere politico con la forza anche fisica della sua ponderosa sedimentazione. Questo rapporto però si è modificato sensibilmente nel presente, in larga misura a causa della diffusione di documenti digitali e di nuovi mezzi di produzione e diffusione dell’informazione. Perde colpi il concetto fisico di sedimentazione a vantaggio di una pericolosa leggerezza, causa ed effetto della leggerezza dell’azione politica stessa. Il venir meno del solido vincolo tra documenti e potere, tra giustificazione documentaria dell’azione politica e realtà porta con sé conseguenze che non sono banalmente archivistiche. Poco importa infatti (ovvero importa molto) se gli archivi perdono spessore a vantaggio di una delocalizzazione digitale che ci impone di pensarli diversamente, stratificati, diffusi e sfuggenti. Quello che più conta sono le conseguenze reali, tangibili di questo fenomeno che conducono a un’inevitabile disorientamento della politica, assecondano comportamenti “precari” e limitano fortemente le garanzie democratiche. L’archivio certificazione del diritto sta andando in pezzi e con esso può andare in pezzi anche il diritto, il concetto di diritto. Non si è forse riflettuto abbastanza sulle conseguenze tendenzialmente perniciose di quel fenomeno complesso che va sotto il nome di dematerializzazione. La dematerializzazione, nelle sue linee essenziali, nella sua quintessenza, ha l’obiettivo di reingegnerizzare i processi, cioè le persone che all’interno di quei processi agiscono. Non per fare del luddismo a buon mercato ma il passaggio è molto delicato, e probabilmente non è stato valutato fino in fondo nelle sue conseguenze psicologiche, culturali e amministrative. Una pubblica amministrazione dematerializzata, addirittura sbandata verso l’uso di intelligenza artificiale è una pubblica amministrazione affidabile? Sul piano dell’efficienza probabilmente sì ma su quello della trasparenza è legittimo nutrire qualche dubbio. E’ la “burocrazia che si viene a ‘disegnare’mediante la tecnologia”[1] Il passo dalla democrazia alla algocrazia è breve[2]. E il governo degli algoritmi, così come la pervasività dei social nella produzione e diffusione di informazione politica, non sembra poter essere ricompreso nei canoni della democrazia. Pochi tecnocrati in possesso di macchine mirabili orientano i comportamenti e indirizzano l’azione degli esecutivi. L’archivio non c’è più ma con esso traballano le democrazie. Non c’è più ordine, il disordine diventa fisiologico,pericoloso complice di possenti retromarce culturali. Sì, perché insieme alla certificazione del diritto viene meno anche la profondità cronologica da sempre garantita dall’ordine archivistico. Il disordine, la delocalizzazione, la dispersione significano amnesia. Ci stiamo cancellando dalla storia con le nostre mani e qualcuno è pure contento. Ecco allora che parlando di archivi e politica emergono i veri nervi scoperti di una disciplina che continua a muoversi dentro al sortilegio generato da una illusoria macchina del tempo. C’è molto bisogno di archivistica in questa congiuntura così delicata. Ma l’archivistica deve mettersi subito a rincorrere ciò che ci sforziamo di chiamare ancora archivi. Deve cercare, come dicevamo, alleanze che le consentano se non di dominare almeno di interpretare la realtà, in modo da poter redarre nuovi statuti epistemologici. La posta in gioco come abbiamo visto è molto alta. Sopravvivenza della democrazia e della memoria. L’archivistica non salverà il mondo ma almeno abbia il buon gusto di salvare sé stessa. Così facendo, forse, porterà un contributo a un’auspicabile inversione di tendenza, nel quadro dell’ineluttabile scontro con la voracità assassina della tecnocrazia. Non si tratta, ovviamente,di alzare improbabili barriere ideologiche contro lo sviluppo tecnologico. Sitratta di affiancare ad esso un paio di paroline spesso dimenticate in nome della modernità: etica e valori, per esempio.
E fin qui il bisogno che la politica ha o dovrebbe avere dell’archivistica. Il rapporto quasi incestuoso tra documenti e potere. Poi sull’altro piatto della bilancia, come abbiamo tentato di dimostrare, c’è il bisogno che l’archivistica,per essere messa in condizione di portare di nuovo il suo contributo, ha della politica. Partiamo dall’assunto che la disciplina in Italia[3]è ormai generalmente asfittica e soprattutto assiderata dal freddo del passato. Norme e prassi sono vecchie, potremmo dire pretecnologiche, gli stessi standard fanno acqua, la formazione è ferma a regole e regolamenti che risalgono agli inizi del Novecento[4] e, più in generale, gli archivi sono governati con norme della metà del secolo scorso che necessariamente ignorano l’esplosione tecnologica e le sue conseguenze epocali. Si aggiunga atutto questo la nefasta dipendenza dal ministero del passato, quel ministero dei beni culturali che proprio non riesce a interpretare la modernità e, per dirla tutta, si disinteressa degli archivi come sta a dimostrare la difficoltàche si incontra nell’individuare una guida stabile e competente per la Direzione Generale degli Archivi. Senza dubbio la fuga dal ministero del passato sarebbe un gigantesco passo avanti verso la modernizzazione della disciplina e la sua revisione in chiave di reale supporto a una società complessa che dell’archivistica ha comunque bisogno.
Dove allora l’archivistica ha bisogno della politica? Nel “luogo in cui l’ordine èdato” si potrebbe rispondere archivisticamente, cioè in sede legislativa. Riforme strutturali, studio del presente, valutazione attenta delle conseguenze del processo di dematerializzazione dovrebbero stare alla base di una nuova legge sugli archivi. La resurrezione della disciplina, che ad oggi è sulle soglie di un sepolcro assai poco appetibile, passa da qui. A cascata si potrebbero poi risolvere i molti problemi pratici, tecnici e umani. Non va infatti ignorata la dimensione psicologica del fenomeno. A dire il vero non si colgono segnali in questo senso però. Si continuano infatti a privilegiare aspetti congiunturali su quelli strutturali. Si mettono toppe, non si cambia la ruota. E invece la ruota va cambiata, il millennio ce lo impone. Noi da sempre studiamo l’epifenomeno documentario e su esso modelliamo le nostre teorie. Così nasce la teoria di una disciplina ex post come l’archivistica, figlia e non madre degli archivi. E allora cosa sono gli archivi(?) oggi? Come si governano? Quali strumenti teorici si devono affinare? Quali discipline concorrono a questo governo [5]? In un processo di revisione che è prima di tutto di ordine psicologico e culturale che muove dal desiderio, dalla convinzione e dall’obbligo di giocare un ruolo in una partita che potrebbe anche essere l’ultima.
Occorre allora augurarsi che i tecnici sappiano finalmente farsi politici, sappiano intercettare l’interesse della politica. Sappiano urlare il loro diritto di esercitare il proprio dovere. Fuori dai meandri di dispute tutto sommato meschine, di capelli spaccati in otto e poi lobotomizzati sui tavoli degli standard.Con la volgarità della politica occorre fare lobbie, guadagnare peso specifico,convinti della ineluttabilità di un ruolo.
In
questo senso l’archivistica ha bisogno della politica. Come di uno strumento
che le restituisca la possibilità di esercitare il proprio ruolo principale.
Che non è quello di pettinare le bambole del passato.
[1] https://nicolettaboldrini.com/verso-un-mondo-governato-dagli-algoritmi/
[2] https://nicolettaboldrini.com/verso-un-mondo-governato-dagli-algoritmi/
[3] A livello internazionale si coglie una maggiore sensibilità al mutamento. Un esempio per tutti che peraltro coinvolge anche qualche settore dell’archivistica italiana è il progetto Interpares http://www.interpares.org/
[4] Basti dire che il regolamento che garantisce il funzionamento della cosiddette scuole di archivio, le Scuole di archivistica paleografia e diplomatica istituite presso alcuni archivi di Stato risale al 1911 e malgrado molti tentativi di riforma anche per l’inanità, per non dir peggio, ministeriale non lo si riesce a modificare. La stessa declaratoria dell’insegnamento dell’archivistica nell’università recita in maniera sconsolante …Anche in questo caso sono in atto tentativi di riforma e anche in questo caso la resistenza culturale al cambiamento sembra avere la meglio.
[5] MASTER FGCAD