Liberi professionisti, imprese e committenza: un triangolo equilatero?

Allegra Paci

Premesse

Nel 1995 Naipaul, premio Nobel per la letteratura, nel suo Musulmani a oltranza torna dopo circa vent’anni in quattro paesi in cui si era avuta l’affermazione dell’Islam. Il suo motto era «Bisogna guardare dentro di noi, non cercare un nemico fuori di noi. Dobbiamo esaminare le nostre debolezze, capire chi siamo».

Nel 2008: Allegra Paci pubblica su Archivi & computer lo studio Figure professionali e fisionomia del mercato del lavoro in ambito archivistico

Nel 2015 viene presentata la Rilevazione sullo stato della professione archivistica in Italia promossa da ANAI

OGGI

Perché questo avvicinamento blasfemo? Perché rifare un viaggio già fatto o ripercorrere un testo già scritto? Dopo dieci anni torniamo a ripercorrere la stessa ricerca cercando gli archivisti ad oltranza, utilizzando esperienze sul campo e interviste a soggetti qualificati (vedi lista dei ringraziamenti) anche per mancanza di dati aggiornati.

In questo intervento cercheremo di capire chi sono oggi in ambito archivistico i libero professionisti, le imprese e la loro committenza e, soprattutto, cercheremo di capire come si articola il rapporto tra i tre lati di questo triangolo

Iniziamo a vedere la base del nostro triangolo: gli archivisti libero professionisti

Nel 2008 si era analizzata l’articolazione tra archivisti con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e gli archivisti non strutturati, i cosiddetti archivisti libero professionisti.

Nel 2008 questa figura professionale non era già così nuova ed analizzando il percorso storico che ha segnato la creazione del modello conservativo in Italia, emergono evidenti le ragioni che sottendono alla necessità di queste figure professionali: innanzitutto le difficoltà dell’amministrazione archivistica e degli archivisti di Stato a far fronte a problematiche a cui non erano adeguati per limiti formativi ma anche di dotazione organica e strumentale. Il fenomeno a cui si è assistito a partire dagli anni ’90 è stato da un lato il blocco delle assunzioni e, dall’altro, offerte formative variegate inserite in percorsi universitari a volte inediti. Questa nuova generazione di archivisti, spesso dotata di titoli di studio altamente qualificanti, che non ha avuto la possibilità di accedere a posti pubblici per il quasi totale blocco dei concorsi per la carriera archivistica, ha dovuto – e saputo – crearsi un mercato, apertosi tanto in seguito ai vuoti lasciati dagli archivisti di Stato, quanto per le nuove problematiche createsi nella gestione, sedimentazione e conservazione degli archivi digitali.

Ma già nel 2008 rilevavamo Il fenomeno, dopo una fase iniziale piuttosto nebulosa, di una ulteriore ripartizione tra singoli liberi professionisti e strutture ormai ben articolate quali le cooperative o altre tipologie di imprese. A questa divisione sembrava corrispondere anche una vocazione a diverse tipologie di intervento, riconoscendo ai singoli liberi professionisti una qualche specializzazione in materia di riordino di archivi storici e alle realtà più articolate competenze maggiori sugli archivi correnti e sulla  gestione della logistica. A completamento della analisi di allora si auspicava che i libero professionisti si aggregassero in piccole strutture per far fronte ad un mercato definito, per la sua non rispondenza a normali criteri economici, “immaturo”.

Avevamo anche visto che gli archivisti non strutturati si suddividevano in quelli con  partita IVA e i contratti di lavoro a tempo determinato quali i co.co.pro.

Vediamo nella slide i dati emersi nella Rilevazione ANAI del 2015, in cui gli archivisti non incardinati erano il 23% del totale.

I co.co.pro: dal 2016 i contratti di collaborazione a progetto, che nella analisi del 2008 risultavano essere quelli più rispondenti al lavoro archivistico libero professionale,non a casobattezzato da Roberto Grassi “lavorare per progetti”, non possono più essere attivati. Dalla analisi fatta allora di questa tipologia di contratto, pur fragile, era emerso che offriva invece un minimo di garanzie e tutele che lo avvicinavano a un contratto di lavoro dipendente.

Le partite IVA: per i singoli, venire remunerati dietro presentazione di fattura è tipico di quei professionisti che appartengono ad un ordine a cui spetta tutelare gli interessi dei cittadini di fronte alle prestazioni professionali dei propri iscritti. Queste prestazioni infatti, in particolare quando sono di tipo intellettuale, risultano difficilmente valutabili. L’ordine professionale quindi garantisce la qualità della prestazione erogata, ne definisce le tariffe,  fa sottoscrivere agli iscritti un codice deontologico, offre formazione  e aggiornamento e, spesso, forme integrative all’assistenza mutualistica pubblica attraverso proprie casse. Vediamo quindi che il legame tra la capacità di emettere fatture e l’appartenenza ad un ordine coinvolge molti aspetti.

Parlando di archivisti in possesso di partita IVA il primo punto critico che emergeva nel 2008  era la mancanza di un ordine  professionale che li rappresentasse e che ne tenesse aggiornato l’albo. L’ANAI fece negli anni dei tentativi di supportare i professionisti, ad esempio diffondendo un tariffario che pur efficace non sembra essere stato una risposta stabile alla necessità per gli archivisti e i loro committenti di  applicare e vedersi applicare  tariffe congrue.

Oggi si è trovata una parziale risposta a questo problema nella adesione delle associazioni alle richieste della legge 4/2013 che promuove l’autoregolamentazione volontaria e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano professioni non organizzate in ordini o collegi, qualificazione che si basa sulla conformità delle attività alla normativa tecnica UNI.

Altro punto critico delle partite IVA era il loro abuso, su cui ha agito la riforma Fornero  regolamentandone l’uso. Con il jobs act questa linea è stata ammorbidita consentendone un maggiore utilizzo. In particolare si può utilizzare quando la prestazione sia qualificata per competenze teoriche di grado elevato: sembra quindi che gli archivisti possano ben rientrarci.

Ma la vera novità in materia di partite IVA è rappresentata dal cosiddetto Jobs Act per gli autonomi, il collegato “Lavoro” della Legge di Stabilità 2016, che innanzitutto si rivolge a tutto il lavoro autonomo professionale, senza distinzioni tra ordinistico e non ordinistico, distinzione che rappresenta un punto dolente in diversi ambiti ma in particolare dal punto di vista contributivo: si delimitano i contorni dei nuovi co.co.co e si introducono importanti novità per le partite IVA, tra cui in particolare la possibilità di partecipare direttamente a bandi pubblici e di finanziamento.

Possiamo quindi dire che la base del nostro triangolo ha avuto in questi dieci anni una crescita quantomeno dal punto di vista del riconoscimento formale, crescita dovuta all’impegno degli archivisti che hanno saputo fare cordata non guardando allo specifico ambito di competenza ma alla veste professionale con cui questa si esercita, come auspicato nel 2008.

Andiamo ad analizzare ora il secondo lato del triangolo: la committenza

Alla luce di quanto detto fin qui cerchiamo ora di capire con quali modalità gli archivisti accedano al lavoro.

Indipendentemente dagli ambiti di applicazione in cui gli archivisti non strutturati si specializzano – siano essi archivi storici, contemporanei o prettamente digitali – la particolare congiuntura del settore professionale determina una casistica piuttosto varia delle modalità di reperimento e affidamento degli interventi.

Le modalità di affidamento sono inevitabilmente collegate alla natura degli interventi tra i quali possiamo innanzitutto individuare un primo parametro dirimente, che è quello economico: corrispondente cioè alle risorse messe a disposizione dal committente. Parlando di appalti pubblici di consistente peso economico si entra in una tipologia di affidamento che presuppone la pubblicazione di bandi di gara e l’espletamento delle relative procedure. Tali interventi coinvolgono strutture aziendali complesse e che ci sia proporzione tra valore economico del lavoro e bilancio dell’impresa, lasciando poche incertezze rispetto alle modalità di individuazione e affidamento e avvicinando la professione archivistica alle altre realtà imprenditoriali.

Il discorso tende invece a complicarsi quando si passa ad analizzare gli interventi effettuati da soggetti che accedono ad incarichi singolarmente di minor peso economico: questa tipologia, che nel 2008 era decisamente più consistente e diffusa sul territorio nazionale, finisce per effettuare la parte se non economicamente certo numericamente più rilevante di lavoro, andando quindi a costituire  una articolata casistica.

Anche per questa tipologia di incarichi si ricorre in alcuni casi a bandi e all’espletamento di gare secondo le modalità proprie di ciascuna tipologia di committente. Quindi in teoria nel caso di committenza pubblica obbligatoriamente tramite MEPA o altri centri di acquisto  ma sono ancora tutt’altro che rari i casi di affidamento diretto. Per l’affidamento diretto ci si basa di frequente su vere e proprie “liste di collocamento archivistico” elaborate da soggetti – quali le Soprintendenze – che finiscono per fungere da filtro atipico e non regolamentato tra committenti e commissionari. Un’altra componente critica emersa nel 2008 era la difficoltà di incrociare la domanda con l’offerta, problema  che trae origine anche dalla mancata identificazione univoca di “impresa archivistica”. Già nei repertori delle Camere di Commercio, le imprese archivistiche sono collocate alla voce “varie”, o confuse con imprese prettamente informatiche. Anche le ricerche di procedure di gara tramite agenzie che offrono questo tipo di servizio danno risultati spesso incerti tendendo a produrre un consistente rumore di fondo con le gare destinate agli informatici, ai servizi biblioteconomici o alla mera fornitura di attrezzature necessarie all’archiviazione.

Stesso discorso vale per il MEPA, dove molte gare vengono inserite in categorie merceologiche totalmente non pertinenti e dove è tutt’altro che chiaro quale siano le categorie di interesse degli archivisti, “spalmati” tra lavori di facchinaggio e forniture di PC.

Questo problema non è peculiare del settore archivistico, anche se in realtà affini a quella all’interno della quale ci muoviamo, vi erano già nel 2008 alcuni strumenti di supporto, quali i servizi forniti dall’AIB. ANAI si è fatta carico del problema aprendo a cura di Lorena Stochino uno sportello bandi riservato ai soci. E’ ancora molto poco ma rappresenta comunque una novità assoluta per la nostra associazione.

Quindi anche analizzando la professione dal lato committenza torniamo a definire il  mercato archivistico come un mercato immaturo.

Per molto tempo – ed il fenomeno non può dirsi esaurito – l’affidamento degli incarichi è stato concepito come una sorta di gesto di liberalità da parte dei committenti, fossero essi soggetti produttori o referenti istituzionali. Inoltre quando l’affidamento era effettuato direttamente da una committenza non archivisticamente competente, questo ha nuociuto alla qualità degli interventi, ponendo i professionisti del settore in una posizione di debolezza che non consentiva di far pesare le proprie capacità progettuali.

Sembrava nel 2008 che proprio in questo quadro forse un soggetto meno debole come l’impresa potesse contribuire a stabilire un rapporto paritetico con la committenza e a definire assetti meno aleatori e più razionali nella programmazione e nella assegnazione degli interventi. Vedremo nell’analisi del terzo lato del nostro triangolo le luci e le ombre della presenza delle imprese nel nostro settore

il terzo lato del triangolo: le imprese

La vera novità rispetto alla analisi del 2008 è la presenza nel settore prettamente archivistico di imprese medio grandi non specializzate.

Nel 2008 rilevavamo le caratteristiche positive per gli archivisti nel dar vita a un’impresa, innanzitutto per la capacità di adottare strategie di marketing proponendo attività e servizi ai potenziali committenti. Per un’impresa archivistica, nel caso in cui sia lei e non la committenza a proporre, risulta più agevole mettere al centro dell’intervento,  sin dalla fase progettuale, le finalità culturali che coloro che si occupano di archivi in qualunque loro fase non possono non porsi e che spesso per la committenza, preoccupata di liberare spazi o aderire alle norme antincendio non è una priorità.  Questo anche alla luce del fatto che non necessariamente un intervento archivisticamente valido risulta più costoso di un intervento privo dei fondamenti propri della disciplina. Nel 2008 la programmazione e progettazione in ambito archivistico erano acquisizioni recenti che sembravano generare, specie in aree geografiche poco avvezze ad esternalizzare servizi archivistici, alcune difficoltà nella delimitazione delle competenze: assistevamo ad esempio al fenomeno delle consulenze ufficiose delle imprese nella compilazione dei capitolati necessari per affidare servizi. Questo meccanismo da un lato consentiva all’impresa di contribuire a far sì che i servizi richiesti fossero rispondenti ad un “buon fare” archivistico, dall’altro non le garantiva l’effettivo affidamento del lavoro e, sicuramente, alterava il mercato.

Abbiamo parlato del modello lombardo che, in maniera evidente, era indirizzato ad archivisti liberi professionisti o organizzati in imprese molto specializzate di piccolissime dimensioni. La crisi economica che si è abbattuta con particolare violenza anche sul nostro settore, dall’inizio della seconda decade del 2000 ha spinto alla chiusura molte delle piccole realtà imprenditoriali costringendo gli archivisti a tornare ad orientarsi verso l’impiego pubblico o a confluire in strutture più grandi. Quali vantaggi possiamo vedere nel affrontare il mercato del lavoro all’interno di aziende medio/grandi? Innanzitutto la possibilità di partecipare a gare consistenti che rispondono a criteri di evidenza pubblica, la possibilità di utilizzare la formula della trattativa privata, riuscendo a far pesare maggiormente la propria capacità di agire e, soprattutto, riunire soggetti con competenze diverse: team di professionisti con competenze informatiche, storiche, paleografiche, logistiche. Questo sembra poter essere una risposta all’impossibilità sempre più frequente di scomposizione degli interventi in base alle cesure tradizionali, quale quella  del ciclo vitale e inoltre, questione oggi centrale, la possibilità di lavorare in team sembra costituire anche una risposta alla impossibilità di creare centri di formazione in grado di offrire a chi si occupa di archivi competenze professionali a tutto tondo.

Ma le società che hanno esteso il loro core business alla archivistica non erano e non sono quasi sempre realtà molto specializzate. Nel caso di cooperative sociali offrono un pletora di servizi di tutti i tipi, dalle pulizie ai parcheggi. Nel settore più prettamente informatico hanno importanti aree di sviluppo nella telefonia o nel hardware.

Anai si era preoccupata già dal 1999 dei problemi collegati all’esternalizzazione dell’intero sistema archivio, proponendo un codice deontologico degli outsourcer ma sostanzialmente al centro della preoccupazione della associazione vi era la sorte degli archivi.

Roberto Guarasci su questo punto diceva ad Erice nel 2006 In questo dibattersi da coniglio sotto i riflettori le pubbliche amministrazioni – spinte dall’utenza, dalla paura delle sanzioni e – seppur raramente – dal potere politico, hanno cominciato ad adeguarsi alle prescrizioni normative scoprendo – a volte – che l’innovazione imposta forse riusciva anche a migliorare qualche obsoleta procedura amministrativa. Le aziende, per necessaria efficienza operativa o fiutando il business si erano attrezzate da tempo. Non trovando risposte presso chi era deputato a darle o, addirittura ignorando che esistevano persone capaci di darle, gli utenti si sono rivolti ad una variegata congerie di soluzioni prodotte dalle realtà imprenditoriali e, a volte, sono approdati all’outsourcing dimenticando – quasi sempre – che si può esternalizzare il materiale servizio ma non la funzione pubblica.

Ma oggi la domanda è: quale sorte per gli archivisti?

Anai ha aperto dall’anno scorso un tavolo ai soci sostenitori, in buona parte aziende associate. Non si potrebbe iniziare a discutere proprio intorno a questo tavolo di alcune questioni che stanno mettendo a dura prova la categoria, per esempio l’applicazione di contratti e conseguentemente retribuzioni di livello adeguato alla formazione e ai titoli di studio? Se abbiamo esperienza del rapporto diretto tra committenza pubblica/archivisti è ora di analizzare il triangolo archivisti/imprese/committenza. Pensare ad un approccio organico e scevro da preconcetti al problema.

E’ un bene che le micro imprese che hanno contribuito a delineare una precisa figura professionale di archivista, ben inserito nel suo territorio – basti pensare all’Emilia Romagna – spariscano?

E’ un bene che si facciano sempre più diffusamente gare al ribasso in cui si premiano le strutture più grandi e in cui la necessità di contenere i costi grava innanzitutto sui contratti di lavoro che si andranno ad applicare?

E’ positivo che in regioni in cui non abbiamo avuto nei decenni passati lo sviluppo delle micro imprese – basti pensare a buona parte del meridione – si stia costruendo un mercato con know how maturato in altri contesti e “manovalanza” archivistica locale?

Abbiamo presente che i liberi professionisti e le micro imprese non hanno tempo e risorse per fare marketing a differenza delle realtà più grandi che stanno riuscendo ad inserirsi in realtà come quelle dei riordini di archivi storici con i cavalli di Troia della digitalizzazione o del software miracoloso?

Conclusioni

Abbiamo parlato di triangolo, spingendoci nel mondo della geometria piana.

Nel mondo di  Flatlandia, ideato nel 1884 da  Edwin Abbott Abbott, si parla del contatto tra un mondo bidimensionale  e un universo tridimensionale e si analizzano le difficoltà della visione su un unico piano, paradigma di chi non vede oltre

“Osserva quella miserabile creatura. Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un’idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l’essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotentemente, felici.“

Non posso che augurarmi che noi archivisti sapremo vedere la  trasformazione che stiamo vivendo e sapremo “aspirare a qualcosa”.

Ringraziamenti

Acta, associazione dei freelance Dal loro sito le informazione sullo statuto del lavoro autonomo

Cherchi, Augusto la conferenza dei sostenitori come camera di compensazione in cui discutere il codice deontologico

Gruppo di lavoro ANAI sulla rilevazione della professione Francesca Capetta Angela Castronuovo Cristina Covizzi Pierluigi Feliciati Michela Fortin, Allegra Paci

Damiani, Concetta risultati interessanti nel laboratorio napoletano di coalizione 27 febbraio ma tanta difficoltà a identificare il ruolo  dell’archivista

La Sorda, Bruna non si riesce a fare lavoro autonomo

Musci, Leonardo sconfittismo sociale: archivisti bravi e buoni ma poco orientati alla libera professione

Oreffice, Susanna incapacità di valutare in sede concorsuale il lavoro fornito dagli archivisti alle aziende private

Valacchi, Federico il mutare del rapporto tra archivisti e committenza corrisponde anche alla evoluzione degli archivi. C’è bisogno di un aggiornamento normativo

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