Archivisti e archivi digitali

Il punto è semplice. Che strumenti epistemologici abbiamo per comprendere e interpretare ancor prima che conservare gli archivi digitali? Cosa conosce l’archivistica dei segreti meccanismi che generano liquide filiere di dati? Come li può, se puó è deve, amministrare? Hardware, software, supporti, procedure, modalità di trasmissione, processi di conservazione, metadati, gli archivi sono tutto questo. E , naturalmente dati, più o meno strutturati, più o meno stabili. Occorre duttilità, ci vuole pazienza e lungimiranza per passare dall’archivio complesso di documenti al sistema dell’archivio. Vanno forgiati nuovi strumenti, rivista l’episteme e il metodo. Definizioni obsolete a partire da quella di archivio vanno rimpiazzate. Perché la forma è sostanza. L’archivio è l’insieme delle cose e delle azioni che scatenano processi di memoria tracciabili e conservabili nel tempo. L’archivio è e sarà ciò che le macchine intese in senso ampio collocano in una porzione di spazio e di tempo a sostegno delle esigenze degli umani. L’archivio algocratico, segno di una civiltà onnivora va governato dall’interno. Subito, presto, prima che sia troppo tardi. La stessa parola contesto va ripensata allargata. Bisogna inseguirlo il contesto, anzi i contesti, a bordo di agili navicelle corazzate di metadati adeguati. Sapere di che ferro sono stati fatti gli archivi, di che impasto di bit. E pregare il futuro che aaspetti. Che aspetti il tempo necessario, ad esempio, a ripensare il principio di provenienza. Ricondurre a un sistema complesso fatto di macchine e azioni e non solo di istituzioni diventa la provenienza. E poi ancora la fruizione potente e diluita, l’accesso e fantascientifici inventari ontologici. C’è di che scrivere nuovi manuali.

 

di Federico Valacchi

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