Come sa(n)remo

Il virus della memoria, il mal d’archivio, può attaccare qualsiasi tipo di contenuto. Da tutto si può prendere archivisticamente spunto. Anche dall’ansiolitico nazionale, quel festival della canzone che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. L’edizione gerontocratica di quest’anno è davvero uno spunto archivistico irresistibile. Le maschere deformi di Baglioni e di Ornella Vanoni hanno una infinita valenza didattica. Insegnano che al tempo non si resiste, che il tempo non si inganna, pena vendette divine che inducono malformazioni. Il tempo dei due è il tempo inutilmente frenato, è illusoria scorciatoia per l’eterno. E’ tutto molto triste, in verità. Nel vedere quei mascheroni ricordiamo però che con il tempo degli archivi si devono fare i conti. E senza sconti con ripetizione voluta. Gli archivi ci insegnano il flusso del tempo, qualunque forma esso prenda. E che il tempo quello biologico ma anche quello storico non è un giocattolo. Piuttosto un puzzle complesso, ridda di cose che poi si chiamano fatti. Ad ogni riordino giochiamo col tempo, ma sappiamo che il tempo, o almeno la sua apparenza, va rispettata. Riordinare non è un liting, di certo. E’dare al tempo il suo ruolo il suo corso. Descrivere archivi significa accettare che c’è la vecchiaia, che la caducità documentaria non si trucca. Descrivere archivi è inseguire la realtà in una corsa a ritroso eppure informata del presente.Ovvero acchiappare il futuro che corre veloce su binari imponderabili, per capire come saremo o come sanremo

Gli archivi sono vecchi, talvolta. Ma per fortuna non cantano.

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